“Can a magician kill a man by magic?” Lord Wellington asked Strange. Strange frowned. He seemed to dislike the question. “I suppose a magician might,” he admitted, “but a gentleman never could.”

Esiste un Regno Unito da un passato coloniale e da un presente economicamente e culturale contraddittorio, al cui fianco continua a ribollire un Regno Unito dalla magia. Nel metamondo letterario e culturale il dominio vittoriano sul resto del globo non sembra mai essersi esaurito e il suo centro nevralgico, Londra, è divenuta una megalopoli senza eguali, un infinito riflesso immaginario della città reale. Che si sviluppi nel sottosuolo come nel nessun dove gaimaniano, che parta da un polo ferroviario londinese per finire nell’incantata Hogwarts o che sia popolata dagli spiriti dei fiumi e dai mostri fantastici come nel recente successo di Ben Aaronovitch, la vocazione fantastica della Londra letteraria sembra davvero inesauribile.

Il fantastico londinese si sviluppa come riflesso, come ombra, come ibrido, come universo parallelo rispetto alla città concreta, di cui mette alla luce gli elementi caratterizzanti: gli inglesi e la loro inglesità. Data la mole (oltre mille pagine) e il successo (vincitore di Hugo, Locus e World Fantasy Award) esistono innumerevoli approcci a Jonathan Strange & mr. Norrell, l’esordio e il capolavoro di Susanna Clarke, che si appresta ad approdare anche su piccolo schermo, con un attesissimo, imponente adattamento targato BBC One. mr-norrellStavolta ho scelto di partire dall’englishness, che proprio i pregevoli adattamenti letterali della rete pubblica inglese hanno contribuito a codificare e diffondere a livello globale.

Se il successo mondiale di molte produzioni inglesi ha consentito un livello produttivo all’altezza della sfida posta dal libro, bisogna ammettere che davvero nulla in Jonathan Strange & Mr. Norrell si è mai sviluppato su scala ridotta, nemmeno agli esordi del manoscritto, frutto della fantasticheria di una giovane donna inglese. Già negli anni ’90 Susanna scrive con discontinuità episodi, frammenti, visioni da quell’Inghilterra napoleonica che combatte l’imperatore francese e si diletta in infinite discussioni accademiche sulla magia tra studiosi aristocratici di taglio puramente scolastico, data la perdita delle sue applicazioni pratiche. Per farlo utilizza l’approccio postmoderno del pastiche di stili letterari della letteratura inglese ottocentesca: l’ironia gentile e pungente di Jane Austen, gli scorci vividi su Londra e i suoi abitanti di tutte le estrazioni sociali di Dickens, l’eroe romantico e le tinte gotiche di Lord Byron (che compare assieme a molti altri personaggi storici nel romanzo). A fare la differenza è però la qualità della scrittura della Clarke, quasi indistinguibile dai classici dell’epoca. Da assoluta esordiente imita i grandi del XIX secolo in un processo di mimesi linguista perfetta, la cui modernità è rintracciabile solo nella sottile ironia con cui canzona i capolavori del periodo, i loro autori, la misoginia e il classismo su cui costruirono la loro opera. Una qualità così fuori dal comune che il professore di scrittura creativa del corso che frequenta gira le bozze a un certo Neil Gaiman, che si dichiara estasiato e dà la sua benedizione a una stesura durata dieci anni di revisioni e di amorevole supporto del partner della Clarke.

Tomo enorme, stile letterario altissimo, canzonatura dei mostri sacri della letteratura inglese, autrice donna, sconosciuta e stampo fantastico: esiste una miglior sintesi di ciò che le case editrici rifiutano categoricamente? Eppure, dopo soli due rifiuti, Bloomsbury dà un milione di sterline alla scrittrice e stampa una prima tiratura inaudita di 250000 copie, con due versioni della copertina (bianca e nera): esaurita, miglior libro dell’anno per il Times, nomination al prestigioso Booker e status di classico già ampiamente riconosciuto.

Jonathan Strange & Mr. Norrell più che è un classico, è un unicum; infatti nonostante l’enorme successo non ha creato emuli o filoni dedicati. Un libro così denso di significati, idee e stili, così rivoluzionario nel suo classicismo, che sembra aver lanciato una sfida a cui nessuno sa rispondere, nemmeno la stessa Clarke.
L’Inghilterra di Strange e Norrell è impegnata nella lotta al nemico e ancora inconsapevole del futuro glorioso di dominazione globale che l’attende, così come i due protagonisti diventano inconsapevoli protagonisti di una grande profezia legata al tanto sospirato ritorno della magia ad Albione.

Two magicians shall appear in England. The first shall fear me; the second shall long to behold me.
The first shall be governed by thieves and murderers; the second shall conspire at his own destruction;
The first shall bury his heart in a dark wood beneath the snow, yet still feel its ache; The second shall see his dearest possession in his enemy’s hand.
The first shall pass his life alone; he shall be his own gaoler; The second shall tread lonely roads, the storm above his head, seeking a dark tower upon a high hillside.

In un libro che sa far risuonare tanto bene le fascinazioni e le venature della letteratura inglese, poteva mancare forse la leggenda di sapore arturiano, incarnata dall’enigmatico Raven’s King, colui che secoli addietro portò la magia ad Albione e la riprese con sé quando svanì, lasciando a un pugno di seguaci il compito disperato di mettere per iscritto quel poco che rimaneva?

È proprio su questi scampoli di mezze verità e leggende che l’oscuro e burbero mr. Norrell, geloso collezionista di libri, misantropo e poco avvezzo al bel mondo londinese, fa il suo spettacolare ingresso in scena, riportando la pratica della magia nella sfera del possibile. 22 Childermas at desk-1Il suo dominio esclusivo e geloso della materia viene presto insidiato da Jonathan Strange, il suo allievo mai desiderato e spesso mal voluto, un gaudente giovane fresco di matrimonio tanto affascinante quanto Norrell è scostante e poco versato alla socialità. Il libro è un complesso ritratto di un’amicizia tra due veri gentlemen inglesi, per tradizione e indole diametralmente opposti, per vicissitudini divenuti rivali, per passione verso la magia eternamente legati, prima dall’amicizia, poi dall’odio, infine da un sofferto rispetto. In entrambi convive con grandi sacrifici e grande passione il conflitto madre di tanta letteratura (inglese e non): quello tra la razionalità -incarnata dal Sud, dalla capitale politica ed economica, dal bel mondo a cui per ragioni diverse i due non appartengono mai davvero- e la follia – incarnata dal nord della nazione che ha dato i natali ad entrambi, terra di miti, leggende, superstizioni e, appunto, magia.

Questa presentazione non può che essere ingiusta verso un libro che ha davvero troppi elementi per essere qui sintetizzato davvero efficacemente. Non vi ho citato la straordinaria dimensione meta-letteraria delle note a piè pagina, che creano un corpus fittizio di libri su cui si costruisce la cronistoria della magia in Gran Bretagna e che anticipano importanti sviluppi della trama, mantenendo costante la tensione. Non ho che accennato alla terza e ultima parte del libro, dove il racconto byronico e le tinte gotiche in una Venezia da incubo la fanno da padrone, restituendo con notevole forza quell’approccio così apparentemente razionale della magia come costo, una dannazione personale come prezzo diametralmente proporzionale al servizio che offre.
Non è davvero da me poi soprassedere sui ruoli di comprimari femminili e servitù, che Clarke mantiene all’interno della finzione letteraria ai margini, ma a cui affida ruoli centrali per profondità e importanza.

La verità è che Jonathan Strange & Mr. Norrell è un’opera davvero titanica, che richiede un notevole impegno da parte del lettore (per mole e complessità della storia), ma che gli dona in cambio un’ucronia così indimenticabile da divenire parte stessa della sua storia di lettore e di persona. L’esordio della Clarke è uno dei migliori libri fantasy di sempre e anche come romanzo ha davvero poco da invidiare a tutta la produzione high brow del decennio successivo.
Come può la BBC vincere una sfida così abnorme, restituendo in sette miseri episodi tutto questo? Se c’è una produttore televisivo che ha dimostrato di saper padroneggiare al livello di pura arte l’adattamento di opere letterarie, beh, è proprio il servizio pubblico inglese. Ce l’avranno fatta anche stavolta? Lo scopriremo a partire da stasera.

 



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2 Comments

  1. ho letto questo libro anni fa, pensai che fosse arrivato in Italia per errore…anche la saga di Harry Potter soffre il confronto con questo libro: una lettura piacevole ed interessante, piena di spunti interessanti e con l’unico difetto di finire :)

  2. Quando gli alieni ci invaderanno avremo un solo modo per salvarci: farli sintonizzare sulla BBC e sperare che ci giudichino patrimonio di interesse culturale interstellare.
    Portare in televisione questa roba era folle pensarlo, drammatico farlo, utopia riuscirci. Alla BBC forse hanno trovato un modo. Frammenti impazziti di libertà assoluta. La parola, il gesto, la pausa, il non detto, la suggestione e la riflessione. Il teatro sullo sfondo con l’aggiunta di immagini madre che richiamano un immaginario e descrivono più di tanti dialoghi. Nessuno pensa e fa tv come la fanno loro, nessuno ha mai portato così in alto la tv come loro. A prescindere da come andrà avanti, a prescindere da quanto riusciranno a tenere questo equilibrio labile, coraggioso ma oggettivamente improbo, a prescindere da quanto sacrificherá e se si perderà per strada: chapeau per la BBC e per tutto quello che rappresenta.

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